THE RED SEA DIVING RESORT

TRATTO DA UNA STORIA “VERA”

Film diretto da Gideon Raff, basato sull’Operation Brothers del 1984, dove alcuni agenti del Mossad utilizzarono un resort abbandonato in Sudan per aiutare i rifugiati ebrei etiopi a fuggire dalla loro condizione di miseria verso la Terra Sacra.

Premessa commovente e apparentemente innocente, no? Così pare. Il problema risiede nelle omissioni di fondamentale importanza all’interno del film. Il piano di salvataggio viene esposto in modo affrettato e sbrigativo, lasciandoci intendere che ogni singolo personaggio -escluso il protagonista- lo trovi a dir poco assurdo ed inutilmente rischioso, eppure, dopo neanche cinque minuti, questo viene approvato. Perché? Israele è così compassionevole, buona e priva di secondi fini? Questo è quello che il film vuole far passare, questo è il modo in cui il regista – israeliano – propaganda Israele, omettendo la reale motivazione politica per cui il Mossad era così intenzionato a ripopolare la Madre Patria con nuovi ebrei.

Il film è ambientato negli anni 80, circa 40 anni dopo la dichiarazione d’Indipendenza di Israele e circa 15 anni dopo l’annessione – illegale – della Palestina al loro territorio. Questa nuova terra, infatti, si ritrovava praticamente spoglia di cittadini ebrei e coincidenza ha voluto che proprio in Africa, un gruppo di etiopi ebrei stesse soffrendo a causa della guerra civile e delle discriminazioni anti semite.

Il trasferimento di questa popolazione ha permesso a Israele di ripopolare il territorio palestinese e di arginare la popolazione araba, senza però perdere troppo tempo nel riflettere sulle conseguenze future di questa loro scelta. La popolazione etiope non ha mai trovato una reale integrazione, limitata dal radicato razzismo degli ebrei israeliani, per lo più di origini europee e dunque caucasiche, che non apprezzarono mai l'”infiltrazione” di una popolazione africana nel loro territorio.

Il Governo di Israele è passato quindi negli anni dallo stimolare massicce ondate di immigrazione (motivate da secondi fini), al negare le richieste di asilo da parte degli stessi rifugiati africani, considerati “infiltrati” e “nocivi”.

Gli etiopi, finalmente giunti alla Terra Sacra, non trovarono mai l’accettazione popolare; obbligati ad accontentarsi di lavori mediocri perché negate loro migliori possibilità. Lo stesso Governo che li salvò negli anni ’80 non volle mai aiutarli e ora, nella seconda metà del duemila, migliaia e migliaia di africani (in specifico del Sudan e dell’Eritrea) vengono allontanati e minacciati dallo stesso Paese che aveva promesso di accoglierli.

TECNICAMENTE PARLANDO

Se ignorando le motivazioni politiche volutamente omesse dal film, quest’ultimo si rivelasse comunque magistralmente ben eseguito, non avrei motivo di lodarne gli aspetti positivi ma è qui che un ennesimo problema sorge.
Il film è orrendo. Piatto, noioso, superficiale e palesemente incapace di superare le previsioni, che per fortuna io personalmente non ho mai avuto. Quando sai che in circolazione esistono film come Argo le tue aspettative si abbassano decisamente di molto quando sai di star andando incontro a questo genere di pellicole ispirate a drammi storici.

Ma andiamo per ordine: i dialoghi.

Tranne quelle due frasi facilmente utilizzabili come aforismi dalla gioventù del web, il film ci lascia l’incommensurabile bellezza di scambi di battute totalmente privi di senso, di una superficialità disarmante e spesso dal ritmo bizzarro, fuori luogo e piazzate nel bel mezzo di scene dove dire qualcosa non era poi così necessario. Non mi è ben chiaro inoltre se lo scopo del regista fosse accennare ad un qualche spiraglio di comicità, perché in tal caso l’intento è stato un enorme fallimento.

Per quanto riguarda la superficialità generale, non mi riferisco ai temi affrontati, sicuramente difficili e sensibili, ma al modo svogliato in cui sono stati trattati. Per fare un esempio (contenente spoiler): nelle scene iniziali si vedono alcuni etiopi in fuga dai loro aggressori, aiutati dal protagonista ad attraversare un fiume dove una ragazza (stuprata e abbandonata al villaggio in cui è stata trovata) si lascia morire. Questa scena è girata in modo estremamente… superficiale. Non ci viene dato alcun contesto, nessuna parola e nessun approfondimento. Molto freddamente la ragazza si affoga e le vittime rimaste la guardano, alcuni piangono, ma non esiste alcuna emozione. Non c’è nulla di strappalacrime, manca il coinvolgimento emotivo che un accurato approfondimento avrebbe fatto scattare nello spettatore. Certo, mi ha intristito, ma non è stato il come a riuscirci, se non l’atto in sé.

Quest’aria di superficialità si respira per tutto il film e uno dei motivi principali alla base di essa è sicuramente la scelta dubbia del regista di preferire davanti alla telecamera un Chris Evans che fa flessioni e si spoglia piuttosto che mostrate le condizioni disagiate degli etiopi durante la fuga e durante il campo per rifugiati in Sudan. Per tutto il film le vittime vengono praticamente ignorate a discapito di sedute di Tai Chi nel resort e di immersioni subacquee quindi, è naturale che lo spettatore non abbia stabilito una connessione emotiva con esse ed è quindi altrettanto naturale che durante le scene più crude, ad intristire (come ho già detto) non sia il modo in cui queste scene vengano mostrate ma l’atto in sé, sicuramente deplorevole.

La superficialità esce fuori, prepotentemente anche, tra le dinamiche dei nostri “eroi”. Come si conoscono? Perché? Quando? Ci è dato saperlo? Evidentemente no. Il medico, il più legato al protagonista, lo detesta ma non ci viene mai detto il motivo reale. Rimane tutto volutamente misterioso ma non nel modo curioso e intelligente che tutti vorremmo ma in quello frustrante e fastidioso che ci spinge a saltare le inutili scene dove i due discutono animatamente.

RIFLESSIONI FINALI

Sospettavo che questo film non mi sarebbe piaciuto dal momento in cui ho visto il font utilizzato nel titolo e nelle scene di apertura. Orrendo, pseudo futuristico e totalmente fuori luogo… ma queste sono preferenze personali. Non possono essere preferenze personali invece quelle riguardo le transizioni da film di spionaggio di serie Z utilizzate durante la spiegazione del piano. Il tentativo era quello di renderlo un film serio o no? La comicità era voluta o solo casuale? E perché il protagonista era un tale coglione? Volevano rendere l’eroe protagonista più “umano”?

Se il film si fosse concentrato meglio sull’operazione al centro della trama, se avesse avuto la profondità giusta per portare rispetto alle vittime e avesse incluso nel cast almeno una persona di etnia etiope, la situazione politica di fondo sarebbe stata quasi totalmente irrilevante. Invece ci siamo ritrovati davanti agli occhi una pellicola svogliata e incentrata sul concetto dell’eroe bianco e benevolo dagli addominali perfetti e la battuta (eufenismo) sempre pronta.

Voto: 5/10

Alicia.

Alicia

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