LITTLE WOMEN

Adattare un libro sul grande schermo è sempre stata una scelta rischiosa per un regista. Questa scelta diventa ancora più rischiosa nel momento in cui il romanzo di partenza è universalmente conosciuto e amato. E il rischio cresce a dismisura quando vi sono già degli adattamenti iconici e amati dell’opera, che vedono protagoniste star del calibro di Winona Ryder o Katharine Hepburn.

Greta Gerwig, regista e sceneggiatrice, era forse l’unica in grado di accettare una sfida del genere. Reduce da “Lady Bird”, suo debutto alla regia, che le ha regalato il plauso della critica e la nomination all’Oscar come miglior regista, Greta Gerwig aveva la possibilità di esaudire ogni suo desiderio.

Decide però di intraprendere la via meno congeniale e più tortuosa, addentrandosi nella riscrittura di un classico che il solo nome riesce a scaldare il cuore di ogni lettore: “Piccole Donne”, della scrittrice Louisa May Alcott. Il libro era stato precedente rielaborato, regalando due splendide versioni datate 1933 e 1994. E, a un occhio meno, attento sembrava non avesse più nulla da raccontare.

Ma dalla penna di Greta Gerwig, rinasce non solo Piccole Donne ma la stessa anima di Louisa May Alcott, e la regista dà nuova linfa a un’opera (paradossalmente) quantomai contemporanea.

LE SORELLE MARCH

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“I’ve had lots of troubles, so I write jolly tales.” Si apre con questa citazione di Louisa May Alcott il “Piccole Donne” di Greta Gerwig. Per poi passare a un’inquadratura che vede Jo March (Saoirse Ronan), cuore pulsante dell’intero film, di spalle dinanzi alla porta di un editore. É la scrittura la sua più grande passione e, per le sue sorelle, Jo è in grado di creare immagini potentissime con le sue parole. Ma la realtà schiaccerà presto il sogno. La giovane March dovrà sottostare a una serie di regole (o meglio, privazioni), per pubblicare quelle stesse storie che avevano accompagnato lei e le sue sorelle durante l’infanzia.

La storia raccontata da Greta Gerwig origina nel suo stesso svolgimento. Jo è ormai adulta, e trasferitasi a New York tenta in tutti i modi di intraprendere la carriera da scrittrice. Conosce Friedrich (Louis Garrel), un professore tedesco al quale si lega profondamente, ma che al contempo la metterà davanti a una verità che distruggerà tutte le sue illusioni: le sue storie non arrivano dritte al cuore. “Scrivi della tua vita! Scava nella tua anima!” le consiglia Friedrich. Perché non è il talento a mancarle, ma il coraggio di uscire dagli schemi, da quelle limitazioni che avevano influenzato la sua scrittura.

E inizia così il tuffo nel passato nel quale si getta la giovane Jo, che attinge dalla sua stessa infanzia per dare vita alla sua opera d’arte. Conosciamo così le altre sorelle March. Meg (Emma Watson), la più grande e la più ligia al dovere, ma anche l’unica in grado di ricordare la vita ben più agiata della famiglia prima che iniziasse la guerra e ci si trovasse ad affrontare una terribile crisi economica. Beth (Eliza Scanlen), la più timida e sensibile tra la sorelle, appassionata di musica e abilissima nel suonare il pianoforte, ma non priva di fragilità. E la piccola Amy (Florence Pugh), vivace e viziata quanto lo può essere una vanitosa ragazzina della sua età.

A tirare le fila di questa famiglia tutta al femminile è la madre che tutti vorremmo, Marmee (la meravigliosa Laura Dern), capace anche solo con uno sguardo di trasmettere l’immenso amore che prova per le sue figlie.

TRA PASSATO E PRESENTE

Greta Gerwig dimostra di aver veramente compreso lo spirito che anima l’opera di Louisa May Alcott. Con estrema empatia e delicatezza dipinge il passato delle sorelle March, le loro risate, i loro pianti, le loro insicurezze, la loro profonda unione. La coralità ritorna in tutte le scene in cui si trovano insieme, trasmettendo un’idea di vivace disordine che si crea nel momento in cui le sorelle entrano in una stanza. I dialoghi sono brillanti e sinceri, pieni di battute e frecciatine tipiche di un armonioso rapporto tra sorelle.

L’infanzia è colorata, luminosa, caotica. L’arrivo del giovane Laurie (Timothée Chalamet), nipote del ricco e solitario vicino di casa, salderà inizialmente ancora di più il rapporto tra le sorelle, ma porterà inevitabilmente all’inizio dei primi cambiamenti. Un confronto che Jo non sarà pronta ad affrontare.

La sola idea di vedere sua sorella maggiore Meg lasciare la propria casa per sposare un uomo mette in discussione la sua visione libertina del mondo. “Non sposarlo! Finirai per stancarti di lui!” le grida Jo nella più totale disperazione, ma la risposta di Meg (“solo perché i miei sogni sono diversi dai tuoi, non significa che siano meno importanti”), chiuderà definitivamente la luminosa e allegra infanzia. E sarà un momento tanto inevitabile quanto profondamente doloroso.

Greta Gerwig riesce a donare ritmo alla trama grazie anche ai continui flashback e flashforward tra passato e presente. Sottolinea soprattutto come l’infanzia con le sorelle abbia influenzato la vita e l’arte di Jo. Grazie all’uso congeniale della fotografia, il passaggio tra i ricordi della giovane March e il suo presente diventa evidente utilizzando diverse variazioni di colore. Per l’infanzia, momento di spensieratezza e innocenza, i colori sono brillanti e lucenti. Al contrario, per il presente, pieno di dubbi e insicurezze, le tonalità diventano ben più cupe. Anche il silenzio che attanaglia la nuova vita di Jo a New York diventa simbolo della mancanza delle sorelle. Risulta inoltre quantomai evidente il passaggio dal vivace caos del passato alla silenziosa solitudine di Jo.

JO MARCH

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Ogni generazione necessita la propria versione di Piccole Donne. Greta Gerwig attinge dal libro femminista per eccellenza, opera chiave per l’emancipazione femminile di metà ottocento, e con estremo rispetto e devozione nei confronti delle parole di Louisa May Alcott restituisce una sua visione del mondo delle sorelle March.

Jo è la sua antieroina, il personaggio cruciale per rappresentare un’epoca di grandi cambiamenti. É ribelle, indipendente e non vuole perdere la sua libertà in cambio di una richiesta di matrimonio. Si dedica con passione alla scrittura ed è certa delle sue immense abilità. Ma l’epoca non è forse pronta ad affrontare una donna come lei e la società spegne ogni sua illusione, trasformando la sua arte in un mero prodotto commerciale. La perdita di sua sorella Beth, terribilmente malata, la costringerà a cambiare dolorosamente la sua visione del mondo. In quel momento straziante nasce il dubbio in lei di aver compiuto degli errori nel corso della sua vita, errori che non potranno mai essere rimarginati, mettendo in dubbio ogni sua scelta.

Ma è questo dubbio che permette a Jo di crescere, di affrontare una realtà fatta di regole e contraddizioni contro la quale si era sempre schierata. Una realtà che obbliga le donne a mostrarsi sempre perfette, obbedienti, sposate. Che mira solo alla bellezza, alla classe, all’eleganze e non all’anima, all’intelligenza, al talento. Jo si sente terribilmente sola, una solitudine che prima era colmata dall’amore delle sorelle ma che ora è costretta ad affrontare senza l’aiuto di nessuno. E si rende conto che l’amore che prima aveva sempre rinnegato, perché per lei era come mettere ai polsi delle catene è in grado, in realtà, di renderla veramente libera.

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“Little Women” ci insegna che le donne possono essere tutto ciò che desiderano. La scelta di sposarsi di Meg non è meno “femminista” del desiderio di Amy di diventare una pittrice (“la migliore”) in Europa. Il desiderio di crescere dei figli e dell’avere un marito non è meno coraggioso dell’aspirazione di Jo di pubblicare il suo libro. Non c’è una scelta che renda liberi o in catene se il desiderio arriva direttamente dal cuore. E ogni passo compiuto da ognuna delle sorelle March è pieno di amore, dato anche dall’umana incertezza ma da un desiderio di cambiamento.

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É la crescita dei suoi personaggi che Greta Gerwig tenta di dipingere. Un crescita fatta di compromessi e sbagli, come quelli che compie Jo. Ma dopotutto sono i nostri sbagli che ci rendono le persone che siamo, e le sorelle March vedranno con i loro occhi come ogni perdita e ogni vittoria le abbiano rese le (non più) piccole donne del passato.

Ed è proprio dalla perdita che Jo riesce a dare vita alla sua opera più importante, attingendo da quel passato fatto di spensieratezza e gioia che non potrà mai più tornare ma che in realtà vivrà per sempre, nelle pagine del suo libro. Così come è stato per Louisa May Alcott, le cui parole sono diventate immagini e fonte di ispirazione per ogni generazione di piccole donne e piccoli uomini.

REGIA E CAST

Greta Gerwig mette tutta la sua passione all’interno di questa nuova versione del romanzo, dimostrando ancora una volta le sue abilità registiche con dei movimenti di macchina fluenti ed eleganti, lasciando tutto lo spazio possibile ai suoi personaggi.

La fotografia aiuta a muoversi tra presente e passato, regalando dei campi lunghi e lunghissimi dove la natura, nella quale i protagonisti sono inseriti, si mostra nella sua più brillante bellezza. La destrezza della regista sta nel realizzare una regia apparentemente invisibile e “facile”, ma che rende evidente la sua bravura nel tratteggiare sotto gli occhi dello spettatore il mondo nelle quali le protagoniste sono inserite, con una semplicità che mai scade nel banale.

Il cast è l’anima dell’intera pellicola, legato da un’unione che certamente si era sviluppata anche al di fuori delle riprese. Saoirse Ronan, musa di Greta Gerwig, dà voce e corpo all’indomita Jo, sicuramente un punto di riferimento per la stessa regista. Ma anche i comprimari non sono da meno, a partire da Florence Pugh nei panni della viziata e vanitosa Amy, personaggio complesso e dallo sviluppo più evidente di tutti. Emma Watson regala una Meg dolce e materna, dallo sguardo che rapisce e che dimostra la perfetta convinzione delle proprie scelte.

Timothée Chalamet, aiutato anche dallo stretto rapporto di amicizia che lo stringe alla Ronan, diventa un punto focale del film, donando un Laurie (“Teddy”) che sembra uscito direttamente dalle pagine del romanzo. Non si può non citare la presenza di due volti chiave del cinema contemporaneo, l’immensa Laura Dern, che si trasforma nell’amorevole Marmee e Meryl Streep che, seppur presente in poche scene, rende la sua zia March un personaggio assolutamente indimenticabile.

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VOTO 9/10

Vittoria

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