FLEABAG

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Phoebe Waller-Bridge

“Che cosa scriverebbe Phoebe Waller-Bridge?” è la domanda che dovrebbero porsi tutti gli aspiranti sceneggiatori. Commediografa e attrice, è la creatrice di due delle serie tutte al femminile più proficue (di lodi e premi) del momento, “Killing Eve” e “Fleabag“.

Quest’ultima è una delle fortunate serie trasmesse sulla piattaforma Amazon prime video e vede protagonista la stessa Phoebe Waller-Bridge. Con una pungente ironia unita una buona dose di black humour tipicamente british racconta le (dis)avventure dell’antieroina per eccellenza, la Fleabag del titolo.

NOMEN OMEN

“Fleabag” non è solo il nome della protagonista della serie, tanto più un presagio di quello che sarà lo stile delle puntate che si susseguono. Il significato è, letteralmente, “sacco di pulci” ma rimanda più al concetto di “ragazza cattiva” o “scorretta”.

Più che cattiva, Fleabag potrebbe essere definita cinica: giudica continuamente chi la circonda con un cipiglio tra il divertito e il contrariato, e lo spettatore non può fare altro che entrare nella sua testa.

Ma sotto questa apparenza costruita dalla stessa protagonista si cela una donna furba ed estremamente intelligente, che lo spettatore non può fare altro che ammirare proprio perché ricca di quei pregi e difetti che la rendono tanto umana.

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UNA STORIA BREVE MA EFFICACE

Una serie come Fleabag porta con se il vero concetto di binge-watching, tanto caro ai programmi contemporanei. Due stagioni da sei episodi ognuna ci fanno entrare nel folle mondo di Fleabag, alla fine dei quali si prega (spoiler?) per altre puntate.

Fleabag è una londinese di trent’anni, alle prese con una vita movimentata: due lutti importanti la accompagnano per tutta la storia e una famiglia tutt’altro che normale (si potrebbe usare il termine “disfunzionale”) non sembra prenderla abbastanza in considerazione per aiutarla come si deve.

Ma la vera forza di Fleabag sta nella sua personalità così ricca di sfaccettature e sottigliezze che non solo ce la fanno amare e comprendere, ma ci permettono di identificarci in lei. É una donna cinica ma piena d’amore, confusa ma anche risoluta, sicura di sé e delle sue scelte ma anche continuamente sommersa dai guai.

Ma la caratteristica maggiore della serie è il modo in cui Fleabag si rivolge a noi spettatori: sfrutta la cosiddetta rottura della quarta parete per interagire direttamente con chi la sta ascoltando, animando i dialoghi di dettagli a volte apparentemente meschini ma conditi da una profonda dose di onestà. E questi sono sicuramente i momenti più brillanti e divertenti perché Fleabag ci trasforma in suoi complici rendendo ogni momento ancora più denso di ironia.

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UN CAST DI PRIM’ORDINE

Se per Phoebe Waller-Bridge non sembra faticoso entrare nei panni di un personaggio da lei scritto (con oltretutto dei forti tratti autobiografici) il resto del cast non sfigura certamente.

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Nella famosa “famiglia disfunzionale” troviamo una fantastica Olivia Colman che meriterebbe un altro Oscar per l’interpretazione della “godmather” (matrigna) perfida come solo se ne trovano nelle favole dei fratelli Grimm. La sua malvagità sta nel dissimulare, nell’essere chi non è, nello stamparsi un grande sorriso sulla faccia mentre sputa veleno in particolare su Fleabag. É inoltre un’intrusa nella famiglia, avendo preso il posto della madre della protagonista subito dopo la sua morte.

Il padre (quasi tutti i personaggi non hanno nomi) interpretato da un Bill Paterson sopra le nuvole, è succube delle donne ben più forti di lui che lo circondano. Mostra però un affetto sincero nei confronti delle figlie, e dona in alcune circostanza a Fleabag quelle piccole perle di saggezza che tanto necessita (oltre e regalarle una seduta gratuita da una psicologa, ma questa è un’altra storia).

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E infine troviamo la sorella Claire (Sian Clifford), la cui classe e stabilità in ambito lavorativo e amoroso sottolinea ancora di più la posizione da “pecora nera della famiglia” di Fleabag. Ma quella di Claire non è altro che una maschera, che cela una realtà famigliare ben più travagliata e un’insicurezza maggiore rispetto a quella della sorella, alla quale in realtà invidia la spensieratezza e l’essere così naïf. Ma a discapito delle differenze che le caratterizzano si dimostrano piuttosto legate tanto che Claire, in un momento di sincerità rivela a Fleabag “the only person I’d run through an airport for is you“.

THE PRIEST

La seconda stagione ruota invece intorno a un personaggio molto particolare, “The Priest” interpretato da un ottimo Andrew Scott. Questo personaggio mette in discussione l’idea di amore libertino professato da Fleabag, che si allontana da chiunque si affezioni troppo a lei. In questo caso è proprio lei a innamorarsi, ma si tratta di un amore evidentemente impossibile. Si basa però sull’idea che ciò che non si può avere diventa ancora più irresistibile. Il famoso sacro e profano si incontrano, creando delle situazioni bizzarre ma certamente anche molto coinvolgenti.

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Fleabag è una di quelle serie che anche se ti accompagnano per poco più di un week end risulta impossibile da dimenticare. Un pò compiangiamo Fleabag e la sua vita disordinata, un pò vogliamo essere come lei. Quello che è certo è che è opera di una sceneggiatrice di alto livello, con dialoghi brillanti e sinceri nei quali è molto semplice identificarsi. E forse, in alcuni momenti, avremmo bisogno di un manuale d’istruzione scritto proprio da Fleabag.

VOTO 9/10

Vittoria

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